Presentazione

‘Questo territorio è vivo…per mantenere vivo il territorio lo devi sperimentare, devi sentirlo e quando lo senti e lo leggi, stai aiutando a tenerlo vivo…devi camminare. A un certo punto, per ognuno di noi, il territorio prenderà il sopravvento, prenderà per mano quella persona. Tu credi di fare la tua strada, ma è il territorio che ti guida’                                     

                                                                                                                                                       Frans Hoogland

‘Tà sa regordèt chela olta…’ quanti incontri  iniziano con queste parole.  All’ osteria, nelle feste, nei raduni, in tante canzoni di tradizione alpina e popolare c’è questo rimando alla memoria. Un passato evocato spesso con nostalgia. Incontri che prendono consistenza nei racconti che ricorrono su questi tempi andati. Un paese si edifica su queste novelle locali che danno sapore al vivere quotidiano. È il modo con cui si tramanda la storia e le storie collegate. Vicende risorte dall’oblio per quella caratteristica che hanno di far emergere sentimenti, intenti che si reputano importanti. Pensiamo alla forza che hanno i testi poetici di artisti musicali quando raccontano, a modo loro, le vicende legate ad ambienti di gente semplice (penso ai testi di Bepi de Marzi e Marco Maiero e a tutte quelle cante che sono nate dalla spontaneità del sentire e vivere gli eventi belli e brutti della vita). Parole e note che han trovato armonia nella sintesi dell’artista, capace di tramandare umori ed impressioni di quel vivere quotidiano. Sono rimasto sempre affascinato da questo ingegno. Ambienti e paesaggi  che ritrovano il loro vero sapore oramai scalfito da una modernità attenta solo all’efficienza e utilità. In questo scritto, che si pone in successione ai miei precedenti (sono opere collegate per spirito ed intenzioni), ho voluto ‘recuperare’ parole che dessero valore ed importanza a luoghi che abbiam la fortuna di vivere quotidianamente. Ritrovare parole che parlino di sé, attraverso il ritrovare una parte antica e profonda di noi che forse abbiam perduto. Diventare capaci di sentire l’eco che risuona all’interno del cuore e che chiede di tornare alla fedeltà alle parole. Segni che dicono della nostra vita. Simboli ai quali dobbiamo lealtà che vada al di là della banalizzazione che oggi si assiste del linguaggio ridotto ad utilità, scambio economico e semplificazione della parola a termine. Dialoghi che non hanno più valore performativo (cioè creano ciò che dicono) ma speculativo (nel peggior caso utili solo per prendersi in giro). Nessuno è disposto a donare la vita per i termini  ma abbiamo martiri di parole. Questo è urgente  e necessario. La fedeltà a ciò che si dice fa dell’uomo l’uomo; permette di riscoprire e trovare noi in noi stessi. Riscoprire significati e modi di vita che han formato vocaboli cari alla nostra tradizione, formatisi dall’esperienza esistenziale  e che in quelle parole trovavano e trovano senso. La coerenza è conseguenza automatica, non necessita di aggiungere ed accumulare discorsi e termini. Il potere delle parole di imitare le cose del mondo si raffina con il tocco delle nostre mani sulle sostanze del mondo. Allora affidiamo alle parole di un grande uomo ed alpinista, Walter Bonatti, questo cammino: ‘Alle mie montagne, infinitamente grato per il bene interiore che nella giovinezza ho potuto ricavare dalla loro severa scuola’.

Prof. Stefano Zanchi